TRA UNA SOCIETÀ DI EGUALI O UNA SOCIETÀ DI AMMESSI E SCARTATI
di Raniero La Valle, Newsletter n. 132 del 22 gennaio 2019 fonte: https://mail.google.com/mail/u/0/?tab=wm&pli=1#inbox/FMfcgxwBVMhRFLQrcrxSZglbxcjHTMxH
DECISIONE
ANTROPOLOGICA. Un
convegno a Milano promosso dall’associazione “Laudato Sì”, di
Mario Agostinelli e don Virginio Colmegna, ha
trattato il
tema della salvezza della Terra, in sintonia con le istanze
dell’enciclica di papa Francesco. Il pericolo in effetti c’è ed
è imminente: un riscaldamento di due gradi della temperatura globale
non potrebbe essere sopportato dall’ecosistema. Nel colloquio sono
confluite molte esperienze e lotte e proposte, e il suo esito è
stato confortante, perché sono state chiare le diagnosi, e sono
stati indicati gli strumenti e i rimedi per salvare dall’olocausto
ecologico la terra e tutti quelli che vivono in essa. Il contributo
portato al dibattito da “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” è
stato di dire che però questo sarà possibile, a condizione che
prima facciamo un’altra cosa, che è di fondare
un’unica
società umana.
Ci vorrà la politica, il diritto, l’economia, ma prima ancora ciò
dovrà essere oggetto di una grande decisione antropologica. Non è
affatto scontato infatti che l’umanità sia una, e che gli uomini e
le donne siano eguali tra loro. Per molti secoli questa verità è
stata negata e si è invece teorizzata una diseguaglianza
per natura
tra gli esseri umani; la storia della diseguaglianza è una storia
dolorosissima di signori e servi, schiavi e liberi, popoli eletti e
scartati, donne appropriate e negate, razze e caste, predazioni e
genocidi. Si dovette arrivare al Novecento perché l’unità umana e
l’eguaglianza delle persone e delle nazioni grandi e piccole (come
dice lo Statuto dell’ONU), fossero alfine riconosciute dalla
cultura e proclamate nelle grandi Carte dei diritti e delle libertà
fondamentali, anche se poi non attuate. Esse però sono oggi di nuovo
negate in via di principio, ripudiate dalla politica e frantumate dal
sistema economico; e il genocidio del popolo dei migranti è oggi
perpetrato da tutti noi. Questo vuol dire che occorre tornare ai
nastri di partenza, dobbiamo decidere di nuovo ciò che vogliamo
essere, se una società di eguali o una società di ammessi e
scartati.
RIFIUTARE
L’OPPRESSIONE. È
una decisione dirimente, come molte altre del passato. È come la
scelta di fronte a cui si trovò il popolo ebreo che era emigrato in
Egitto. Lì si trattava di decidere quale visione dell’Egitto
adottare, tra le due che ne presenta allo stesso tempo la Bibbia:
l’Egitto come terra di schiavitù sotto il Faraone, o l’Egitto
come terra dell’abbondanza, che sfama i figli d’Israele durante
la carestia, e poi accoglie “nella parte migliore del paese” lo
stesso Giacobbe, i suoi figli e i suoi discendenti. La scelta del
popolo ebreo fu di rifiutare l’Egitto del Faraone, di rinunciare
alla falsa sicurezza della stabilità, alla permanenza in una
identità oppressa, e di mettere invece in gioco se stesso, di uscire
dall’Egitto, di andare incontro a popoli nuovi e ad abitare terre
nuove e promesse, e fu la scelta dell’esodo, della traversata del
deserto, della liberazione.
RESTAURAZIONE.
Un’altra
scelta cruciale fu quando il popolo ebreo, reduce dall’esilio a
Babilonia, si trovò a decidere se doveva cominciare una nuova vita
di libertà e di incontro con gli altri, oppure se doveva restaurare
le condizioni che lo avevano portato alla rovina, se doveva tornare
alla teocrazia del tempio, alla servitù della legge, alla purità
etnica. Lì la scelta, con Esdra e Neemia, fu quella della
restaurazione,
del ripristino della legge, della costruzione del secondo tempio,
della chiusura identitaria fino all’obbligo del ripudio delle mogli
straniere; fu in qualche modo l’argine
messo alla profezia e la nascita del sionismo. L’insegnamento
per noi oggi è che dopo la caduta, dopo il suicidio della politica,
dopo l’esilio della democrazia che abbiamo patito in questi anni,
dopo l’irruzione dei populismi, non si può semplicemente tornare
al passato, rappezzare i vecchi partiti, tornare alle cipolle
d’Egitto o della Banca mondiale, occorre fare una cosa nuova,
mettere del vino nuovo in otri nuovi.
VENDETTA
O MISERICORDIA. L’altra
scelta dirimente fu storicamente quella di Gesù e del suo principale
apostolo Paolo: la scelta
tra il Dio della vendetta e il Dio della misericordia, il passaggio
da un solo popolo alla comunione con tutti i popoli, l’obiezione
alla legge dei precetti e delle esclusioni e il passaggio alla
libertà dello Spirito e alla gratuità del perdono e
dell’accoglienza. Un’altra
scelta cruciale fu compiuta alla fine dell’Impero, quando a Roma il
Senato bruciava e il popolo era in lutto; ma il papa Gregorio Magno
invece di intonare i lamenti della disfatta, intonò il canto della
liberazione perché nuovi popoli si erano affacciati alla storia, i
Barbari parlavano la “lingua dei santi”, gli Angli erano
evangelizzati e nasceva l’Europa
inclusiva di san Benedetto, antidoto all’Europa costantiniana e
carolingia che sarebbe poi sfociata nella visione teocratica di
Gregorio VII, da cui siamo da poco usciti.
IMPERI E GENOCIDI. Una scelta devastante fu poi quella compiuta dalla cultura europea quando decise che gli Indios non erano uomini, che i neri si potevano trarre come schiavi e che gli operai, come dirà Locke all’inizio della rivoluzione industriale, non erano in grado di ragionare meglio degli indigeni, e cominciò così l’età degli Imperi e dei genocidi, fino a Hitler. Ma ci sono anche le grandi scelte, i salti di qualità compiuti dalle rivoluzioni moderne, quella americana, francese, sovietica, quella del costituzionalismo postbellico e c’è la scelta del Concilio Vaticano II quando la Chiesa decise che si dovesse annunciare Dio in modo nuovo, per giungere fino alla rivoluzione di papa Francesco.
OPPORSI
ALLA FRANTUMAZIONE. Oggi
siamo a una scelta di questo tipo, ma questa volta ne va della
integrità o della frantumazione del mondo. Ideologie politiche,
dottrine economiche, culture giuridiche, religioni, messianismi e
letture apocalittiche sono tutte chiamate a consulto per decidere che
cosa fare del mondo. E anzitutto c’è il dovere di resistere
all’anomia, all’offensiva del potere senza legge che si fa legge
a se stesso, e questa è una resistenza messianica, come quella
invocata dall’apostolo Paolo come “forza frenante” o
“katécon” da opporre alla distruzione. Ma poi la scelta
primaria da fare è quella dell’unità umana, dell’umanità unita
come soggetto politico e autore della storia, la scelta di una vera
globalizzazione, non del denaro e dei traffici, ma degli uomini e
delle donne di spirito e di carne, porti aperti e mura abbattute, non
marce verso frontiere serrate o barconi doloranti di migranti e di
naufraghi non più salvati per il divieto dei governi, ma navi, treni
ed aerei di linea e percorsi di accoglienza e integrazione al
servizio di quel diritto primordiale e universale che è il diritto
di migrare,
il diritto di piantare le tende per realizzare se stessi e il proprio
destino in qualunque lembo di quest’unica terra, casa comune di
tutti.