Brianzecum

luglio 17, 2008

LA PACE AL CENTRO DELLA TEOLOGIA di Luigi Sartori*

L’UOMO E LA STORIA PER RIBALTARE LA PROSPETTIVA

“Sono caduti i due blocchi, che impedivano la realizzazione del genere umano come unica realtà finale, ed oggi un blocco, il capitalismo, rischia di diventare il gestore di tutta l’umanità. Ma come blocco, appunto, con le sue modalità settarie acquisite nell’opposizione all’altro. Siamo perciò ancora lontani da quel soggetto unico mondiale, da quella comunità entro la quale anche le religioni tolgano le asprezze e diventino forza di connessione” (pag. 41). Al contrario, oggi non solo si ricorre disinvoltamente alla guerra, anche preventiva, ma persino si toccano i toni delle guerre di religione: da una parte e dall’altra si uccide ancora nel nome di Dio. Tutto ciò non può non imporre forti interrogativi anche alla stessa ricerca teologica. Ecco alcune linee di tendenza.

Cambiare il concetto di trascendenza.  “La trascendenza coltivata dalla filosofia greca, ed entrata nel cristianesimo, è vista spesso, nella maggior parte dei casi, come un’uscita degli esseri dal cosmo. Trascendere vuol dire lasciar cadere gli esseri per arrivare all’Essere. E così Dio lo si “conquista” fuggendo, separandosi. Ormai la trascendenza non può più essere vista così. Per arrivare all’Altro bisogna passare attraverso l’altro; trascendere me stesso per arrivare a Dio deve avere il significato di un trascendimento da me verso tutti gli altri. L’Altro autentico lo si attinge coinvolgendosi, uscendo da se stessi nell’assunzione di tutti gli altri, addirittura partendo dall’ultimo: partendo dal lebbroso, da colui che è il non-nominato, che sembra quasi zero. (…) Rispetto al Medioevo, centrale nella teologia attuale è il discorso non sulle cose prime, ma sulle cose seconde, cioè sulle realtà vicine, proprio nella convinzione che non bisogna scappare fuori dalle cose, oggetto dell’amore divino, per cercare Dio. Posso amare Dio se non amo coloro che egli ama? Posso parlare di Dio se non parlando di coloro che egli pensa dall’eternità?” (pag. 38).

La salvezza.  “La novità della teologia attuale consiste nella ricerca di un punto centrale dentro le cose vicino a noi” (pag. 38). La salvezza e la sua storia, per esempio, sono da alcuni decenni grandi temi che hanno unificato parecchi teologi, pur con diverse coniugazioni. “Gli ortodossi preferiscono vedere la salvezza nell’aspetto positivo: la ‘divinizzazione’, la ‘deificazione’ è la categoria centrale del loro pensiero. Nel mondo protestante, invece, permane il termine ‘giustificazione’, che non credo abbia un futuro, essendo parola troppo giuridica e troppo legata al dibattito del tempo di Lutero. L’America Latina ci ha fornito la bellissima espressione ‘Dio liberatore’, è riuscita a costruire una teologia tutta attorno al tema della liberazione, che è pure una declinazione di ‘salvezza’. Nell’America settentrionale, la salvezza è stata invece declinata con la ‘teologia del processo’ (per loro è importante lo sviluppo…) che, grazie a Dio, oggi sta decadendo. Da noi i pastori, con un po’ di furbizia, hanno messo al centro la ‘promozione umana’, espressione neutra che significa ‘andare avanti’” (pag. 39).

Una “teologia che cammina”.  “La teologia classica, dal Medioevo in poi, dava più importanza agli inizi della storia, allo stato paradisiaco delle origini. E allora vengono fuori i miti dell’epoca di Adamo: Dio ha creato tutto nella perfezione, poi c’è stata la decadenza; il futuro sarà un tornare all’origine. La svolta attuale della teologia consiste nel dar valore al momento escatologico, cioè alla fine della storia, più che alla storia passata, dalla quale usciremmo come ‘decadenti’. Si tratta di una concezione bellissima, che sprigiona maggiori energie coinvolgendo tutti in una ‘teologia che cammina’. (…) Noi dobbiamo raccogliere tutto ciò che avviene nella storia, coscienti che ogni uomo e ogni cultura sono coinvolti nel cammino verso l’eschaton, il punto di arrivo finale: cristiani, buddisti, induisti… Se diamo la prevalenza al passato rischiamo di lasciar fuori molta parte dell’umanità; se invece siamo convinti di essere appena partiti, se tutti siamo in partenza, allora ci ritroviamo con i buddisti, gli induisti, i vari movimenti, tutta la realtà umana. Questa è la novità: siamo davvero tutti sul piede di partenza, altro che arrivati!” (pag. 39).

Verso una teologia antropologica.  “La teologia piano piano è diventata antropologica, poiché dal primato dato a un Dio che quasi ci fa uscire da noi stessi e fuggire dall’uomo, si è passati a un Dio dentro la storia, dentro l’uomo. Ciò non significa mettere Dio in secondo piano, significa piuttosto coinvolgere sempre di più l’uomo e quindi privilegiare il discorso etico sul discorso dogmatico. Spesso oggi l’etica viene staccata dal dogma. Sembra che prima si debba credere e poi, quasi per sola coerenza, agire. Ma tutta la cultura e la teologia fondamentale moderna mostrano che solo a chi si coinvolge Dio appare, solo a chi si impegna a fare si aprono gli occhi. L’aprirsi degli occhi su Dio dipende dall’amore nei confronti del prossimo. Dio è amore e, come dice Giovanni: ‘se sei in Dio e conosci Dio, allora ami il fratello’. (…) Ma Gesù di Nazareth è Dio e uomo: per capirlo di più e per poterne ancora parlare, bisogna che ci facciamo aiutare anche dalla cultura laica moderna, specialmente dalle varie scienze umane: l’antropologia, la psicologia, la sociologia, la fenomenologia… ci danno strumenti per capire l’uomo, per coinvolgerci nella storia, per capire Cristo” (pag. 40).

La centralità del tema della pace.  “Anziché insistere solo sulla salvezza, sulla storia della salvezza, perfino sulla Trinità o su Cristo, tutti argomenti importantissimi ma che rischiano di restare nell’astrazione, proviamo a mettere la pace al centro. Certo, come tutti gli altri termini, anche questo è ambiguo, come i termini ‘salvezza’, ‘storia’, addirittura ‘Cristo’, possono essere interpretati in tante maniere. Quando si individua un centro di riflessione teologica, si deve tener presente che quel centro non è automaticamente evidente: mentre dà, deve anche ricevere. Come per capire Gesù di Nazareth è indispensabile leggere l’Antico Testamento, così ogni realtà è talmente legata alla pace, che la pace stessa, per essere capita, per poter funzionare in quanto dono, deve ricevere da tutte le realtà. Si tratta di una legge tremenda che va applicata anche in teologia: per poter dare veramente qualcosa a tutti gli altri, devo ricevere da tutti. È lo statuto della pace! Diventare accoglienti, ospitali verso tutti, per essere in grado di dare. Diversamente, se si rimane in un clima polemico, settario, si pensa forse di dare, ma di fatto si divide sé stessi e gli altri. Credo che il tema della pace, non inteso come armistizio ma come pienezza escatologica (come suggerisce la Bibbia), possa condensare intorno a sé molti discorsi e realtà. Camminare verso la pace significa muoversi verso la meta funzionale di dar dinamismo alla storia: pace vuol dire avviarsi verso quell’unità del soggetto planetario che ancora non esiste” (pag. 41).

* Libera riduzione dell’articolo con lo stesso titolo apparso su “Esodo” n. 3, 2000, pagg. 37-41, di Luigi Sartori, teologo dell’ecumenismo e della teologia della pace.


Per riflettere:

-si uccide ancora in nome di Dio;

-come cambiare il concetto di trascendenza;

-partire dalle realtà vicine;

-il Dio liberatore dell’America Latina;

-pensare alla fine della storia più che al passato;

-Dio è dentro la storia, dentro l’uomo;

-privilegiare il discorso etico su quello dogmatico;

-farsi aiutare anche dalla cultura laica moderna;

-la pace deve ricevere da tutte le realtà;

-essere accoglienti per poter dare.


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