Brianzecum

luglio 8, 2012

LA PARTE NASCOSTA DI DIO E DEGLI UOMINI

RIVELAZIONE PROGRESSIVA DELL’IDENTITÀ, MA SOLO PER CHI HA L’UMILTÀ DEI PICCOLI

di don Giorgio De Capitani*

Avvicinarsi al mistero.  I tre brani della Messa sembrerebbero a prima vista scollegati tra loro. In realtà c’è un legame: è la rivelazione che Dio fa di se stesso, attraverso Mosè (primo brano), attraverso l’apostolo Paolo (secondo brano) e attraverso il Figlio Gesù (terzo brano). Nel primo brano, tolto dal libro dell’Esodo, Dio si rivela a Mosè come il Santo per eccellenza (“Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali, perché il luogo sul quale stai è suolo santo), si rivela come il Liberatore (“Sono sceso per liberare il mio popolo dal potere dell’Egitto”) e infine rivela la propria identità: “Io sono colui che sono”, poi più semplicemente “Io-sono”. Nel secondo brano, San Paolo, scrivendo la prima lettera ai cristiani di Corinto, afferma che il mistero di Dio si è rivelato in Gesù Cristo, ma non tanto in Gesù maestro o taumaturgo, ma in Gesù Crocifisso. Ecco dove sta la sapienza di Dio, “che è rimasta nascosta”. Nel terzo brano Matteo riporta le parole di Gesù sul rapporto stretto tra lui come Figlio e il Padre celeste, e sulla possibilità di avvicinarsi al mistero di Dio ma ad una condizione: occorre avere l’umiltà di cuore che è la caratteristica dei piccoli, dei semplici, dei miti.

Sapienza e stoltezza.  A questo punto una domanda s’impone: chi è veramente Dio? Nell’Antico Testamento egli si è rivelato come il Signore creatore e onnipotente, come il Dio dell’Alleanza unico e geloso, un Dio battagliero, giudice e talora vendicativo. Anche con il volto di Padre che perdona, ma l’idea che ci siamo fatti attraverso i numerosi episodi anche di violenza non è certo quella di un Padre universale: anche i Profeti puntavano a rivelare la santità di Dio, che imponeva un certo distacco, un certo sacro timore. Nel Nuovo Testamento tutto cambia: Dio è anzitutto Padre, Dio perdona, Dio accoglie, Dio ama. Ma non basta: Gesù, morendo su una croce, sembra nello stesso tempo confonderci le idee. Come il Padre ha potuto accettare la morte così tragica di suo Figlio? Qui entra in scena la teologia di san Paolo sulla sapienza di Dio, nettamente in contrasto con la sapienza umana. Sia per gli ebrei che per i pagani era inaccettabile che un Dio potesse arrivare a tal punto: morire su una croce in modo tanto ignominioso. Ecco perché San Paolo, sempre nella sua prima lettera ai Corinti, scrive: “Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani”. In poche parole: ciò che è sapiente per il Signore è stoltezza per gli uomini. Siamo su due piani completamente opposti. Ecco perché il mondo, come direbbe san Giovanni, non comprende chi è Dio, e non comprende la radicalità del Vangelo di Cristo. Sono due modi completamente differenti di intendere la sapienza. Dio ragiona in un modo, e l’uomo ragiona in un altro modo. Sulla parola amore, tutti possiamo essere d’accordo, ma in realtà Dio ama in un modo che a noi sembra assurdo.

Dio vicino a noi.  Prima di continuare, vorrei spiegare, benché brevemente, la definizione che Dio ha dato di se stesso a Mosè: “Io sono colui che sono”. L’evangelista Giovanni riprenderà spesse volte questa definizione di Dio, applicandola a Gesù Cristo. Ricordiamo lo scontro con quei giudei che avevano creduto in lui (Giovanni, capitolo 8), quando Gesù alla fine del dibattito afferma in modo solenne: “Prima che Abramo fosse, Io Sono”. Gli ebrei avevano capito benissimo che Gesù si era identificato con Dio stesso, tanto è vero che presero le pietre per lapidarlo, come bestemmiatore. C’è un altro episodio molto chiaro, quando, nell’Orto degli Ulivi, alla ciurma che era venuta ad arrestarlo, Gesù si presenta dicendo: “Sono io!”, richiamando il Nome stesso di Dio. Tutti indietreggiano e cadono per terra. “Io Sono colui che sono”: parole che hanno messo in crisi tutti gli studiosi per capire che senso dare. Senz’altro non vanno intese in senso filosofico. Dio non è tanto “Colui che ha l’essere per essenza”, ma come un “essere per”: Dio è colui che si rende “presente”, che è “in favore di”. Dio non il Dio dei filosofi, ma il Dio che è vicino a noi.

L’uomo inedito.  Tuttavia, attorno a Dio rimane un alone di mistero. Non può essere diversamente. È Dio, e basta. Si è parlato spesso di Dio come di un “Deus absconditus”, nascosto. Un mistero sempre da scoprire. Tenterò ora di spiegare in che senso intendere questo aspetto di Dio: “absconditus”, nascosto. E, di conseguenza, essendo noi fatti “a immagine e somiglianza di Dio”, cercherò di spiegare in che senso intendere l’aspetto di “absconditus” presente in ciascun essere umano, e non solo. Mi rifaccio ad un articolo che Padre Ernesto Balducci ha scritto e pubblicato nel 1993, dal titolo già significativo: “L’homo editus e l’homo absconditus”. Cercherò di sintetizzare il suo pensiero. Per spiegare il termine “editus”, partirei dal secondo che sembrerebbe a prima vista più chiaro: “absconditus”. Chi è l’homo absconditus? Scrive P. Balducci: «C’è in ciascuno di noi anche un homo absconditus, un’umanità nascosta, costituita… da quelle possibilità umane che non hanno trovato traduzione nella cultura in cui ci si è plasmati e modellati”. Allora l’homo editus è quella parte di noi che già si è plasmata e modellata “all’interno della cultura in cui è avvenuto il suo sviluppo formativo». Già la parola editus, in italiano stampato, pubblicato, ne dà l’idea. Noi solitamente vediamo lo sviluppo storico, culturale, formativo dell’essere umano, e siamo tentati di fermarci a questo aspetto, magari contestandolo, in vista di un suo miglioramento, dimenticando però o trascurando quelle energie nascoste che sono dentro di noi, sono dentro l’umanità intera. Quando parliamo di cultura intendiamo questo: il mondo come si è sviluppato lungo i secoli secondo parametri prestabiliti che sembrano ripetitivi e intoccabili. Certo, parliamo di sviluppo, ma tale sviluppo non tiene conto dell’altra parte che è dentro di noi, che rimane nascosta.

È la parte migliore.  Scrive ancora P. Balducci: «La nostra formazione avviene sempre attraverso un soffocamento, una rimozione di possibilità che non hanno un corrispettivo di traduzione storica. C’è, quindi, in noi un patrimonio di possibilità nascoste, che non è l’inconscio junghiano, costituito dalle rimozioni che via via compiamo nella nostra crescita, ma piuttosto un nucleo di possibilità (…) che non appartengono al passato, come l’inconscio, ma al nostro futuro: sono le possibilità di realizzazione umana per quali non si è data ancora la concreta condizione di attuazione». Ecco perché talora si usa la parola “ineditus”, cioè questa parte che abbiamo dentro di noi, che è la parte magari migliore, non è ancora stata pubblicata, stampata, resa visibile. È nascosta, tenuta nascosta o di proposito dimenticata. P. Balducci per dare una maggiore idea della differenza tra la parte edita e la parte inedita o nascosta, ricorre all’immagine del vecchio (senex) e del bambino (puer). «Quella del senex è l’aridità, l’astrazione, la passione per il calcolo, la riduzione della qualità a quantità; è la ripugnanza per la novità, per l’estro creativo; è l’esigenza dell’identità, dell’A=A; è il rifiuto del diverso, di quanto per qualsiasi motivo non rientri nella geometria dell’ordine. (…) Quella del puer: l’entusiasmo per l’inizio, il gusto per il diverso, l’amore per la contraddizione, la divina follia che non sta negli argini prestabiliti».

Profezia.  In base a questa distinzione tra l’homo editus e l’homo absconditus, P. Balducci passa poi ad analizzare la religione e il concetto che abbiamo di Dio. Il nostro mondo e noi che ci siamo dentro ci siamo costruiti non solo un progresso fondato sulla cultura prestabilita, che non tiene conto delle energie migliori che abbiamo dentro, ma anche il nostro rapporto con Dio. Ed è qui che, riprendendo le parole di San Paolo sulla sapienza umana e sulla sapienza divina, possiamo parlare di un mondo religioso chiuso al domani migliore e di un mondo profetico. «Il Vangelo, scrive P. Balducci, non si rivolge all’homo editus, ma all’homo absconditus nella pienezza delle possibilità che egli conserva in sé, a un uomo attento alla profezia”. Scrive ancora: “L’homo editus, cioè l’uomo integrato nella cultura, ride di fronte alle profezie, come rideva Machiavelli, homo editus più che altri mai, quando ascoltava il Savonarola che parlava in Santa Maria del Fiore».

«Francesco d’Assisi,  ad esempio, scrive ancora P. Balducci, è l’espressione che si è realizzata attraverso il rigetto delle forme più sacre dell’homo editus, a cominciare dall’essere dipendente da un padre, dall’avere un luogo di identità nella città, dal tener lontano gli esclusi, i lebbrosi. Francesco ha rigettato la guerra, la spada. Egli si è immerso nelle profondità dell’homo absconditus e ha affrontato la società, la cultura dominante con i segni, i gesti pacifici dell’uomo nascosto. Ha ritrovato la fraternità creaturale e ha respinto la cultura. Mi sembrava uno scandalo, quando ero un fedele alunno della cultura edita, che Francesco dissuadesse i frati dallo studiare. Niente libri. Ora invece sono commosso da questo, perché Francesco capiva come sarebbe andata a finire la sua famiglia francescana, se avesse battuto le vie che portavano a Parigi, all’università».

Di Dio possiamo dire la stessa cosa che dell’uomo: c’è il Dio edito e c’è il Dio nascosto. Scrive P. Balducci: “Se noi leggiamo la Bibbia, vediamo che c’è un modo di parlare di Dio del tutto omogeneo all’homo editus, alla cultura, quindi un Dio guerrafondaio, sterminatore, e poi c’è il Dio inedito, nascosto, che è il Dio dei profeti e che troverà la sua manifestazione in Gesù Cristo». Commentando un passo della Prima Lettera di Giovanni, P. Balducci afferma: «Nessun nome è più funesto di quello di Dio quando diventa un dio edito, il dio del gruppo, della città, emblema e garanzia di ogni potere. L’uomo inedito lo sa e non ama nominarlo. Il vero Dio è un Deus absconditus, l’estremo corrispettivo dell’homo absconditus. La preghiera è, nella sua intima essenza, una silenziosa corrispondenza tra l’uomo sconosciuto e il Dio sconosciuto (…)». La distinzione tra fede e religione, cara a Balducci, è tesa alla salvaguardia delle possibilità vitali dell’uomo inedito. Il messaggio evangelico non coincide con la morale cattolica ufficiale, con le posizioni della chiesa, il suo dottrinarismo e le sue leggi. La fede non è “religiosità superstiziosa” o “meschina proiezione dei nostri bisogni”, “non è una cognizione in più nei confronti degli altri”, non va vissuta alla maniera consolatoria e compensativa, ma è “principio critico” anche della religione, scelta libera e “dialogo con un Tu che ci parla attraverso gli eventi stessi”, nella direzione dell’ulteriorità di senso, dell’inesauribilità della verità, di “Qualcuno che è oltre”.

 

*omelia del 8 luglio 2012: Sesta dopo Pentecoste (Es 3,1-15; 1Cor 2,1-7; Mt 11,27-30)  fonte: http://www.dongiorgio.it/07/07/2012/omelia-di-don-giorgio-sesta-domenica-dopo-pentecoste-2012/

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