Brianzecum

novembre 1, 2011

SANTO È COLUI CHE SERVE L’UMANITÀ, NON LA RELIGIONE

L’AUTO-REFERENZIALITÀ DELLA CHIESA NASCONDE VALORI UMANI AUTENTICI

Omelia di don Giorgio De Capitani per la Festa di tutti i santi 2011: http://www.dongiorgio.it/scelta.php?id=1717&nome=omelie

Regole di canonizzazione.  Me la caverei facilmente e senza troppo spremermi le meningi se dovessi, nella ricorrenza della festività di tutti i santi, elogiare la santità in genere, ma già onorare un santo proclamato tale ufficialmente dalla Chiesa pone il problema del criterio usato per riconoscere in quella determinata persona le virtù necessarie perché venga presa come modello di vita. Ecco cosa significa “canonizzazione”. La parola “canonizzazione” deriva da canone, che significa regola. Ed ecco la prima domanda: quali sono le regole o i criteri seguiti dalla Chiesa per proclamare ufficialmente la santità di una persona? E di conseguenza: quali sono le regole che quella persona ha seguito per condurre la propria vita in modo tale da essere poi ritenuta degna di essere canonizzata?

Santità popolare.  Anzitutto diciamo che esiste una santità popolare che sfugge a qualsiasi canone, o regola o norma della Chiesa: proprio perché popolare, la santità non dà nell’occhio, non fa cose eccezionali. La Chiesa canonizza invece, normalmente, chi ha fatto qualcosa di straordinario, chi ha compiuto azioni vistose, pretendendo anche qualche miracolo, durante la vita terrena o dopo la morte. La santità popolare è come l’humus (da qui la parola umiltà), il terreno fertile dove può attecchire e svilupparsi il seme evangelico. È vero che la Chiesa riconosce anche la santità popolare, ne parla, invita tutti ad essere santi anche nel quotidiano, ma sa pure che la santità popolare non propone modelli forti, virtù testimoniate eroicamente. La Chiesa chiede visibilità, più visibilità possibile.

Obbedienza.  La Chiesa ha bisogno di essere obbedita nella sua dottrina e nella sua morale, dunque le virtù da privilegiare sono l’ortodossia e l’osservanza dei comandamenti. Perciò, quando canonizza qualcuno, tiene conto anzitutto dell’obbedienza, dell’ortodossia e della rettitudine morale. Ortodossia, ovvero, come dice la parola, dottrina retta, retta naturalmente secondo la Teologia della Chiesa strettamente dogmatica. La Chiesa discute anche sulle verità di fede, ma ci sono punti indiscutibili, e sono proprio questi che bloccano la ricerca della verità, che è, per essenza, infinita. Se è infinita, come puoi mettere dei paletti, chiuderla come in una prigione? Il dogma che cos’è? Inoltre: rettitudine morale, ovvero quel comportamento pratico che segue la morale sostenuta dalla Chiesa canonica. Se uno usa il preservativo è già tagliato fuori dalla possibilità di essere riconosciuto santo! Già qui potete immaginare l’idea che la Chiesa ufficiale si fa della santità di una persona, e vi fa capire quali sono i modelli che la Chiesa vorrebbe imporci.

Circolo vizioso.  Sembra che la Chiesa si auto-celebri, santificando i suoi “migliori” testimoni: in quanto struttura, in quanto religione. Comportandosi così, non fa altro che ingrossare se stessa come struttura, tradendo la sua missione, che è esattamente il contrario: la Chiesa è al servizio non di se stessa, ma dell’Umanità. Ma come potrà uscire da questo circolo vizioso, quello di auto-alimentarsi, se rimarrà chiusa tra le quattro mura della sua struttura-potere? Può anche avere un senso la canonizzazione, ovvero il riconoscimento ufficiale della santità di una persona, purché si tenga conto che il punto di riferimento dei “santi” proclamati tali non è la Chiesa in sé, nei suoi dogmi e nella sua morale, ma l’Umanità. So che dire Umanità è come dire qualcosa di troppo vago: bella parola, su cui potrebbero andare tutti d’accordo, ma basterebbe citare qualche valore che appartiene all’Umanità che subito ci si scontra, e ci si divide.

Valore umano  è la pace, e la Chiesa fino a poco tempo fa ha sostenuto la liceità della guerra difensiva, e tuttora parla di missioni di pace in Afghanistan o in Libia. Valore umano è la vita, e la Chiesa sembra più preoccupata dell’inizio e della fine dell’esistenza umana, e anche qui, all’inizio e alla fine, sostiene posizioni talora assurde: pensate al testamento biologico che la Chiesa rifiuta, perché sente odore di eutanasia. Valori umani sono i diritti universali, e la Chiesa nega i diritti alle coppie di fatto ed emargina gli omosessuali (pensate al problema dei preti gay). Valore umano è la giustizia, e la Chiesa si allea con i poteri più corrotti, proprio per sostenere i valori cosiddetti “cattolici”, ovvero quei valori che fanno parte della struttura religiosa della Chiesa. Ecco la blasfemia della Chiesa: vende la giustizia per avere qualcosa in contraccambio, e, assurdo degli assurdi, questo qualcosa fa parte della stessa struttura di potere della Chiesa.

La canonizzazione  di un santo tiene conto di questi criteri. Il santo per essere canonizzato non può sgarrare, uscire da questi canoni. Ma può anche succedere che qualcuno sia uscito da questi schemi, ma poi ci pensa la Chiesa, quando lo canonizza, a mettergli come si dice il cappello sopra, presentarlo ufficialmente nel modo dovuto, in linea con la struttura-religione. Sì, ci sono anche santi-profeti, ma alla Profezia è stata tolta la sua parte migliore. Ecco perché si augura che la Chiesa non tocchi i Profeti neppure da morti. E succede, dopo qualche anno, quando la Profezia si è un po’ offuscata, che la Chiesa li rimetta in riga. È più facile dire che un santo, come fa la Chiesa, debba avere alcune qualità, che sono le virtù canoniche, ed è più facile anche contestare tutto questo criterio usato dalla Chiesa per canonizzare i santi. Ma è più difficile dire che cosa allora s’intenda per santità. Ma dire santità mette un po’ paura. Diciamo meglio: come vivere in pienezza la propria fede, e dunque qual è la nostra testimonianza in questo mondo?

Umiltà.  Vorrei tornare alla parola umiltà. Dicevo che deriva dal latino “humus”, che significa terra. Da qui anche la parola “umano”. La superbia (da super-bios, crescere sopra) porta a pensare ad un atteggiamento di colui che trascura, rompe il legame con la terra da cui deriva. L’umile, dunque, è colui che si sente autenticamente legato alla propria natura. Il santo, allora, non è colui che disprezza la terra, disprezza l’umano, disprezza questa vita terrena. Sarebbe dis-umano. Il santo è colui che vive il proprio legame con la terra in modo profondo, così profondo da sentirsi veramente sulla strada della piena realizzazione di se stesso. Pensate alle conseguenze di questa affermazione. Pensate al criterio talora usato dalla Chiesa per canonizzare i santi: il disprezzo delle cose terrene! il disprezzo della vita! le mortificazioni corporali! l’assenteismo dalla vita politica! il tenersi lontano dalle problematiche sociali! evadere dalle preoccupazioni di questo mondo!

Pienezza dell’Umanità.  Allora capite quando insisto, fino ad annoiarvi, che la santità è la pienezza dell’Umanità! La santità valica i limiti della religione: l’Umanità comprende ogni razza, ogni fede religiosa, ogni cultura. L’unico criterio della Chiesa di Cristo in quanto Cristianesimo per riconoscere la santità è l’Umanesimo integrale. Il vero santo non è colui che ha servito la Chiesa-religione-struttura, ma è colui che ha servito l’Umanità. E allora, di conseguenza, sarebbe inopportuno, per me deviante, per non dire pericoloso, insiste sulla canonizzazione dei santi usando criteri quali: obbedienza, ortodossia e morale cattolica.

Basta canonizzazioni,  casomai proporre modelli Umani, al di là di ogni religione, al di là di ogni razza, al di là di ogni cultura. La canonizzazione corre il rischio di appropriarsi dei cosiddetti santi, come se ogni religione avesse i suoi santi: guai a chi li tocca! La santità da proporre è quella che sa trovare la verità in ogni cosa, anche nell’eresia, anche nell’ateismo. La santità, se è Umanità riuscita, non ha regole: non è canonica. L’unica regola è realizzare l’Umanità migliore. Finora ho parlato di canonizzazione nella Chiesa. Ma non dimentichiamo che anche la società ha i suoi criteri per canonizzare i suoi modelli. Se la Chiesa non è ancora uscita dalla prigione della religione per aprirsi sull’Umanità, che dire di una società in balìa di un consumismo tale da non capire più ciò che è umano e ciò che è dis-umano? Anche la società vuole i suoi eroi, vuole i suoi idoli, vuole i suoi santi.

Vorrei concludere con un esempio:  lo so che sarò come al solito frainteso. Recentemente è morto in un incidente durante una corsa il pilota Marco Simoncelli. Nulla da dire sulla persona. Dico solo che è diventato un idolo: in realtà che cosa faceva? Correva in moto! Che ideali aveva: vincere! Addirittura i funerali sono stati trasmessi in tv. Recentemente è morto anche Padre Fausto Tentorio, non per un incidente stradale, ma è stato ucciso dai poteri forti perché egli difendeva i più deboli. Padre Fausto aveva un ideale nobile, e per raggiungerlo ha rischiato non per vincere in una gara motociclistica, ma per far vincere l’Umanità. Due morti diverse, completamente diverse, ma anche le reazioni della società sono state diverse. In Italia la notizia dell’uccisione di Padre Fausto è passata subito in sordina. Non interessava. D’altronde che cosa oggi può interessare agli italiani? Lottano magari, come in questi ultimi tempi di forte crisi economica, scendono in piazza quasi solo per cose. Parlare di Umanità è il lusso dei buontemponi, di qualche utopista. Prima ho parlato di Padre Fausto, un missionario. Ma Vittorio Arrigoni non era un prete. Anche lui ucciso per una nobile causa umana. Ignorato, per non dire maltrattato, offeso, calunniato dai mass media italiani, a iniziare da quelli del Porco Padrone: tutti i ragazzini e ragazzine sanno chi è Marco Simoncelli, ma ben pochi sanno chi è Vittorio Arrigoni. Marco, un eroe di cartapesta, Vittorio un testimone dell’Umanità.

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