Brianzecum

settembre 26, 2011

STORIA, TRADIZIONE, PROSPETTIVA ESCATOLOGICA

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COME CONCILIARE UNICITÀ DI DIO E PLURALISMO DELLE RELIGIONI. PLURALISMO FRUTTO DELLA STORIA MA DESTINATO A SUPERARLA

di Piero Stefani*

La Chiesa cattolica  nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni [non cristiane, ndr]. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.” (Nostra aetate, n. 2). Questa affermazione conciliare ha apportato una notevole modifica rispetto all’atteggiamento precedente, che sostanzialmente negava validità e verità alle altre religioni e, ancor più, al pensiero non religioso. Siamo di fronte a un semplice “aggiornamento” o a una rottura con la “Tradizione” della chiesa cattolica? Questo interrogativo impone anzitutto di chiarire i termini, a cominciare da quello di tradizione, cui la chiesa stessa attribuisce un’importanza simile a quella delle Scritture (maggiore importanza a queste ultime è invece data dal mondo protestante).

Tradizione.  Con questo termine si intende qualcosa che abbiamo ricevuto, una realtà che ci precede, a cui attribuiamo un significato per il nostro essere e credere, ma di cui non siamo autori. Ci precede ma anche ci segue: dobbiamo trasmetterla a chi verrà, quindi riguarda anche il futuro. Mentre la storia è per definizione un’indagine sul passato, la tradizione è strutturalmente aperta anche al futuro. A questo punto non è certo indifferente la domanda se si trasmette solo quello che abbiamo ricevuto o anche qualcos’altro. La risposta è che ci può essere anche qualcos’altro, purché si resti entro certi parametri, in contiguità con l’esistente. Qui le parole potrebbero essere il già ricordato aggiornamento, ma anche rinnovamento o riforma. Per non uscire dalla tradizione si deve restare entro quello che possiamo chiamare un paradigma: se se ne esce si fonda qualcos’altro, non è più il patrimonio che abbiamo ricevuto. Ci possono essere discontinuità nella tradizione, ma non assolute. È ovvio che su questa valutazione si possono dividere mentalità orientate più verso la conservazione o verso il cambiamento.

Interpretazione e commento.  Un brano biblico può essere letto come semplice documento storico, un racconto di fatti, che possono anche non essere accaduti nel modo in cui sono narrati, mentre sicuramente storici sono i documenti stessi. La tradizione non lo legge così: lo interpreta, lo commenta e lo consegna a chi seguirà. La consapevolezza storica è molto importante per non prendere il relativo come un falso assoluto; le tracce stesse della rivelazione hanno fatto i conti con la parzialità della storia. Tale consapevolezza è una componente essenziale della fede adulta. Una corretta collocazione storica può incidere nell’interpretazione di un documento. In ogni caso la tradizione può dirci molto di più della semplice lettura storica. È quindi giusto dare alla Tradizione (che merita quindi la T maiuscola) un doveroso rilievo: fatto che non si oppone al severo giudizio di Gesù sulle tradizioni (plurale) derivanti da spinte identitarie e conservatrici (Mt 15,1-20; Mc 7,1-13).

Pluralismo.  Si parla di pluralismo quando, di fronte a una pluralità o molteplicità fattuale, non si esclude il riferimento a un polo di unità. Il pluralismo è qualcosa di diverso dal constatare l’esistenza di una pluralità. Nel caso delle religioni è giusto parlare di pluralismo – e non di semplice pluralità – là dove ci si può appellare all’unicità di Dio. Allora sorge una domanda perché un Dio solo e tante religioni? “La molteplicità delle religioni si presenta come un mistero per il cristiano che cerca di decifrare il disegno salvifico di Dio. L’incontro di Assisi ci spinge a passare da una riflessione sulla salvezza a una riflessione sul significato della diversità delle religioni.” (card. Etchegaray, Il Regno – attualità 10/2011, pag. 347). L’interrogazione sul perché ci sono tante religioni e un Dio solo non è un problema storico ma teologico. Si possono dare due ambiti alternativi di risposta. Un primo, che può essere esemplificato dal detto del filosofo pagano Simmaco (contemporaneo di S. Ambrogio), afferma che proprio perché la realtà divina è abissale, misteriosa, inafferrabile, non si può avere una sola via per giungervi: questa via sarebbe palese, manifesta, quindi non compatibile col mistero divino. Il fatto che esistano molteplici vie è garanzia dell’esistenza di un Dio trascendente e abissale.

La rivelazione cristiana.  L’altra risposta può arrivare quando ci sia un Dio rivelato, che si è manifestato nella storia, dentro la parzialità che la caratterizza. Può rivelarsi attraverso la voce (es: ascolta, Israele), o più pienamente come Logos che si è fatto carne nella storia, oltre che come sapienza originaria. Il rapporto tra queste due forme del Logos si riflette in maniera diretta sul modo con cui l’evangelo si raffronta con le culture del mondo: è il problema dell’inculturazione e della evangelizzazione. Nell’attuale pontificato si nota un grande sforzo per coniugare insieme i due discorsi puntando soprattutto sulla razionalità del Logos, ma ciò depotenzia la centralità attribuita all’annuncio evangelico (o per usare un linguaggio più teologico al kerygma). Un modo fondamentale per affermare la storicità e parzialità dell’ambiente in cui è sorta la fede in Gesù Cristo è il tema del Regno (dei cieli o di Dio). Si tratta di un tema che viene posto nelle scritture come germe, in attesa di un compimento che non è ancora giunto alla sua pienezza escatologica. Pertanto è da ritenersi che il pluralismo delle religioni, pensato e vissuto all’interno della tradizione cristiana, vada posto in questa prospettiva escatologica.

…alla fine Dio sarà tutto in tutti.  (1 Cor 15,28). Questa affermazione paolina non implica un ritorno all’origine. Ogni uomo è caratterizzato da parzialità, e la parte contiene paradossalmente quanto infinitamente la trascende: Dio sarà tutto in tutti, un plurale che comprende ciascuno dei salvati. Se Paolo avesse voluto indicare il ritorno all’origine, avrebbe indicato: tutti saranno nel tutto. La frase paolina comporta invece che la storia non è un passaggio indifferente: la molteplicità che ha prodotto non verrà annullata. C’è un avvenire nel quale il pluralismo viene salvato. Sono considerazioni ovviamente di grande importanza, che ci spingono a impegnarci nella storia per il miglioramento dell’umanità (pace, giustizia, salvaguardia del creato) e nel dialogo interreligioso, evitando forme di proselitismo ormai superate. L’apertura conciliare alle altre religioni, ricordata all’inizio, è da considerare pienamente in linea con la Tradizione cattolica: è semmai una correzione di orientamenti non più consoni alla realtà odierna.

*tratto dalla relazione dal titolo: L’attesa del regno nell’oggi del pluralismo religioso, alla settimana estiva di Motta 2011.

Per riflettere:

-ruolo della tradizione;

-riguarda anche il futuro;

-si può modificare ma entro il paradigma;

-il commento fa parte della tradizione;

-consapevolezza storica fa parte di una fede adulta;

-pluralismo differisce da pluralità;

-significato della diversità delle religioni;

-la risposta di Simmaco e quella cristiana;

-puntando sulla razionalità del Logos si depotenzia il kerygma;

-inculturazione ed evangelizzazione;

-tema del Regno, posto come germe in attesa di compimento;

-nella prospettiva escatologica è salvato il pluralismo;

-le aperture conciliari alle altre religioni sono in linea con la Tradizione.

 

 

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