Brianzecum

aprile 11, 2011

L’ESSENZIALE È INVISIBILE

NON FERMARSI ALLE APPARENZE

MODI DIVERSI DI GUARDARE E VEDERE

di Don Giorgio De Capitani, dall’omelia del 3-4-2011 sulla guarigione del cieco nato (Gv 9,1-38b)

Usare la mente.  Quello che noi percepiamo non è la realtà vera e propria, come è in se stessa, ma solo il suo riflesso nel nostro sistema di conoscenza. Se noi conosciamo gli oggetti secondo i modi della nostra conoscenza, questo significa che, in senso proprio, noi non conosciamo gli oggetti come essi sono in realtà, ma come ci appaiono, come essi risultano dall’incontro con le nostre strutture conoscitive. La realtà in sé rimane consegnata all’inconoscibilità. Tale realtà in sé è definita da Kant noumeno (“pensabile”, dal verbo greco “noéo”, pensare): essa è ciò che in senso proprio non si può conoscere ma che tuttavia è necessario pensare come concetto limite del nostro conoscere. Tutto questo fa capire quanto sia almeno importante usare la mente, ovvero l’intelligenza, per avvicinarci il più possibile alla realtà. Altrimenti ci abitueremo a vedere solo le apparenze, vivere di apparenze, giudicare in base alle apparenze.

Apparenze per tutti. In altre parole, non ci accorgiamo di vivere in un mondo di falsità e di falsificazioni, il che significa che c’è gente di potere (anche di tipo economico e direi anche di tipo religioso) che, sapendo che il mondo reale ci è quasi impossibile, fa di tutto per farci credere che il mondo vero è quello apparente, anche perché è più comodo, immediato, alla portata di mano. A me sembra che il miracolo del cieco abbia anche questo senso: aiutare ad avvicinarci il più possibile alla realtà, a coglierne qualche sprazzo, a non farci illudere dalle apparenze. E il mondo delle apparenze riguarda ogni categoria di persone: il popolo comune e l’élite che si crede privilegiata, il mondo analfabeta e il mondo colto.

Guardare attorno. Un‘altra riflessione riguarda il verbo vedere o guardare. Nei Vangeli quando si parla di Gesù che “guarda”, troviamo tre significative varianti. Anche qui bisogna capire il contesto e bisogna tradurre bene il verbo greco. Anzitutto, c’è un “guardare attorno” nel senso di “fulminare con gli occhi”. C’è un passo nel Vangelo secondo Marco molto significativo. Merita una particolare attenzione. Gesù entra nella sinagoga. È presente un uomo che ha una mano paralizzata. Gli scribi e i farisei stanno a “vedere” se Gesù lo guarisce per poi accusarlo. È giorno di sabato, dunque di assoluto riposo: proibito anche compiere qualcosa per soccorrere un malato. Ma lo sguardo di Gesù è su quell’uomo che sembra supplicarlo. Inoltre Gesù, scrive Marco, “guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori”, dice a quell’uomo: “Tendi la mano!”, e lo guarisce. Qualcuno ha definito questo episodio come la storia di sguardi che si incrociano, nella durezza o nell’amore.

Sguardi di compassione e sguardi spietati. «L’uomo della mano secca si trova fra due sguardi diversi: sotto lo sguardo di Gesù, pieno di compassione che vuole dargli la vita, rinvigorire quella mano secca e impotente; e lo sguardo degli uomini religiosi che vedono la sua mano secca come un problema dell’uomo, perché le loro mani, credono, non sono secche, si considerano giusti e credono di essere in regola con i comandamenti della legge di Dio. Due sguardi molto diversi, non vi sfugga questo conflitto di sguardi che potrebbe ricordarci alcuna immagine potente del cinema muto dove tutto era spesso affidato all’intensità dello sguardo degli attori. Uno sguardo di compassione e uno sguardo spietato, lo sguardo della misericordia divina che ha pietà della nostra condizione, lo sguardo dell’uomo religioso spietato che si considera a posto e giudica tutti gli altri dalla superiorità pretesa della sua giustizia, che è in realtà ipocrisia. Lottano gli sguardi, sono in conflitto. Gesù guarda l’uomo della mano secca e sente una compassione senza limiti, un amore profondo. I farisei guardano l’uomo con indifferenza, ma guardano Gesù con attenzione per coglierlo in un fallo e accusarlo e condannarlo per toglierlo di mezzo. E Gesù guarda lo sguardo duro di quegli uomini e sente una tristezza profonda, un dolore intenso. Perché quello che si è seccato dentro quegli uomini religiosi è il cuore. Forse riescono a compiere ogni comandamento con una precisione da macchine collaudate, da meccanismi religiosi senza macchia. Ma i loro cuori sono vuoti, sono un deserto dentro, sono un lago di ghiaccio incapaci di sentire compassione, tenerezza, di commuoversi, di sentire pietà».

Guardare dentro. C’è un altro sguardo, ed è quello che tocca la parte interiore della persona che si guarda. Nei Vangeli troviamo anche quest’altra variante espressiva: “guardare dentro”. Gesù sapeva guardare dentro il cuore umano. E lo faceva con quella sua particolare, direi unica, capacità di arrivare a scuotere i veri sentimenti umani. Penso che gli apostoli ne sapessero qualcosa nel loro primo incontro con il Maestro, e soprattutto Pietro quando incrociò lo sguardo di Gesù dopo il tradimento.

Guardare in alto. Non solo “guardare attorno”, non solo “guardare dentro”, ma anche “guardare in alto”. Diversi i momenti narrati dagli evangelisti in cui Gesù elevava lo sguardo al cielo, per pregare il Padre. Chi non ricorda la preghiera di Gesù prima di compiere la moltiplicazione dei pani? «Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo…» (Mc 6,41). Se ora consideriamo il cieco dopo la sua guarigione, possiamo dire che anche nei suoi riguardi possiamo trovare questa triplice variante del verbo “guardare”. Anche lui si guarda attorno: e che cosa vede? Solitudine, emarginazione, indifferenza, e anche cattiveria nei suoi riguardi. Proprio perché vede la realtà, si sente solo. Fosse rimasto cieco, un po’ di compassione l’avrebbe sempre avuta. Ora che “vede la realtà”, tutti lo rifiutano. Diventa scomodo. E si guarda anche dentro di sé: capisce che ha bisogno di Qualcuno di importante, di una Novità che appaghi la sua solitudine.

Infine guarda in alto, e scopre l’Essenziale.  Ecco il punto. E dove scopre l’Essenziale? Fuori della religione ufficiale. Dopo che è stato cacciato fuori, scrive Giovanni, incontra di nuovo Gesù, ma sotto un’altra luce. Forse non è tanto il luogo – fuori di una struttura – che conta per incontrare l’Essenziale. Tornano le parole dello scrittore Miller: «La nostra meta non è mai un luogo ma un nuovo modo di vedere le cose». Si può, si deve rimanere nella Chiesa anche struttura. Così rispondo a quanti mi chiedono il motivo per cui ci rimango. Il problema è lì: nel saper trovare “un nuovo modo di vedere le cose”. Diventano sempre attuali le parole della volpe al Piccolo Principe: “L’essenziale è invisibile agli occhi”.

Fonte:  http://www.dongiorgio.it/scelta.php?id=1500&nome=omelie


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