Brianzecum

gennaio 9, 2010

INCULTURAZIONE CRITICA DELLA FEDE

NUOVE POSSIBILITÀ DI MANIPOLARE LA NATURA E CRESCENTE DISTANZA CON LA SCIENZA PONGONO ALLA FEDE PROBLEMI INEDITI

Il big bang,  che ha dato origine all’universo, è avvenuto qualcosa come 13,7 miliardi di anni fa; la galassia a cui appartiene il nostro sistema solare e la nostra piccola terra, è composta da qualche centinaia di miliardi di altri sistemi solari. A sua volta l’universo è composto da miliardi di galassie. In modo analogo l’evoluzione che ha portato all’uomo e alla sua attuale presenza sulla terra ha alle spalle i miliardi di anni dei tempi geologici e biologici, di fronte ai quali i pochi millenni dei tempi storici sono un’inezia. Si tratta di dimensioni inimmaginabili agli estensori delle cosmologie bibliche e per il linguaggio di una fede inculturata non nell’oggi, ma in tempi passati. Un analogo discorso può essere ripetuto per quanto riguarda il modo in cui viene detta la verità dell’incarnazione.

Ogni messaggio che riceviamo è sempre inculturato in una determinata società. Perché possa essere recepito si deve ricostruire il filo che lega la cultura di partenza a quella di arrivo. Così l’inculturazione diventa fattore di incontro e di mutua fecondazione. Il messaggio di fede è veicolato dalle religioni attraverso una serie di riti, norme, idee, che spesso ne ostacolano o addirittura ne tradiscono la comprensione. Rientrano in questo campo varie pretese: fondare sulla razionalità il sistema trascendente della fede; gerarchizzare le diverse religioni in riferimento alla propria; affermare che l’azione salvifica universale di Cristo sia mediata in modo esclusivo dalla chiesa; dichiarare che la chiesa sia l’unica interprete autentica dei valori comuni ad ogni uomo.

Come testimoniare la fede? Queste ultime prospettive sono fortemente messe in discussione all’interno di società laicamente e religiosamente pluraliste in cui c’è il relativismo dei valori e in cui ci sono molte religioni compresenti, le quali rivendicano parità rispetto alla civitas. È ovvio che questo è accentuato dalla globalizzazione, dalla modalità spaziale e dalla simultaneità delle reti telematiche – ciò che caratterizza i nostri giorni. Si tratta di forme di unificazione rese possibili dalla tecnica. All’interno di queste società sussistono residui di varie culture che tendono a contrapporsi reciprocamente. In questo contesto la compresenza va di pari passo con il sorgere di tensioni. La testimonianza di fede va resa in quest’ambito. Tuttavia anche il ritorno alla religione, che si verifica un po’ dovunque, è una risposta a questi contesti. Si tratta di una replica sostanzialmente di carattere identitario, che ci può sembrare inadeguata. Essa riempie comunque un vuoto.

La natura o creazione: è un altro polo da prendere in considerazione. L’annuncio della fede, rispetto al creato, dice molte cose: intanto che c’è il creato (e non una natura increata), che non solo c’è Dio all’origine di tutte le cose, ma che Dio si prende cura delle sue creature. Chi cerca di sovrapporre creazione e natura, non riesce a dire questa seconda verità di fede se non coniugandola religiosamente e filosoficamente in modo mediato (Dio ha dato origine al mondo, il mondo ha le sue leggi, le sue evoluzioni, degenerazioni ecc. ma queste ultime non sono imputabili direttamente a Dio). Solo in termini di fede (e non già di religione) si può parlare, con Paolo, di gemiti del creato o delle sue doglie del parto. Calvino diceva che non c’è particella del creato che, consapevole della sua attuale miseria, non aneli alla redenzione: anche questo va testimoniato a fronte di una visione della natura che è dotata, in cosmologia e biologia, di assi spazio-temporali totalmente diversi da quelli in cui furono inculturate le originarie affermazioni di fede. Anche il linguaggio dell’evangelo dipende da una forma di cultura; è evidente: non c’è mai stata una fede pura, espressa in un linguaggio incontaminato dalla cultura del tempo. All’epoca in cui furono redatti i vangeli i linguaggi erano totalmente diversi dai modi in cui la natura è oggi studiata nei suoi stessi principi. Possiamo forse confrontare il linguaggio con cui il Nuovo Testamento afferma un Dio che crea attraverso il Logos e un Logos che tornerà nella pienezza dei tempi, con il big bang e con un cosmo che ha 13,7 miliardi di anni?

Difficili mediazioni.  Il linguaggio in cui viene detta l’incarnazione e quello della odierna cosmologia non sono mediabili. In quest’ambito anche il ricorso all’evoluzione non è risolutivo: non basta dire che Dio si è servito dell’evoluzione. Bisogna riconoscere che l’asse temporale in cui l’uomo può dirsi a immagine di Dio, rappresenta un’inezia, l’ultima riga di un libro di 5000 pagine, rispetto alla storia del cosmo. I tentativi di mediazione sono sempre insoddisfacenti. Da un lato abbiamo, perciò, una natura che trascende l’uomo (i miliardi di anni della cosmologia e dell’evoluzione sono imparagonabili con le dimensioni umane). In questo ambito è inevitabile pensare a noi stessi come esito di quella immensa storia. Per altro verso, abbiamo la possibilità inaudita e in precedenza neppure immaginabile, di intervenire sulla natura e sull’origine stessa della vita. Da un lato c’è una dimensione di trascendenza enorme dei tempi e degli spazi della natura rispetto a quelli umani, mentre dall’altro vi è una capacità umana, finora del tutto inedita, di intervenire sulla energia e sulla biologia.

Fede critica.  Ritenere che la religione, in cui la fede in Gesù si è inculturata, fornisca le risposte a questi tipi di problemi, è assolutamente improprio; tuttavia non si può neanche sostenere che l’annuncio evangelico in quanto tale abbia la risposta a questo tipo di problemi. Si può ipotizzare che il trovarsi all’interno di una certa scissione sia una condizione per vivere la fede. Il contesto in cui gli uomini sono nel contempo figli della natura e suoi manipolatori, esige che la fede sia critica e contestatrice di un certo tipo di ricorso alla religione. Un’esemplificazione semplice riguarda i temi della bioetica, che si possono riassumere nel termine di sacralizzazione del biologico (la vita in quanto tale viene da Dio, torna a Dio…). Questa sacralità viene affermata anche di fronte a forme di esistenza rese possibili solo dalla tecnica. Assistiamo a una falsa armonizzazione del problema; la fede deve avere una funzione critica verso questa opzione sacralizzante. Nello specifico, la fede deve avere una funzione critica nei confronti della religione e dimostrare l’alterità della creazione e della salvezza rispetto alla natura e alla tecnica.

*dalle lezioni del prof. Piero Stefani nel luglio 2009 alla settimana di Motta sulla crisi della democrazia, organizzata dalla Comunità di via Sambuco 13, Milano


Per riflettere:

-ogni messaggio che riceviamo è sempre inculturato;

-il linguaggio della fede è inculturato in tempi lontani;

-siamo l’esito di una immensa storia;

-al contempo figli della natura e suoi manipolatori;

-questo esige che la fede sia critica di fronte a certe forme di ricorso alla religione;

-come la sacralizzazione di forme di esistenza rese possibili solo dalla tecnica;

-dimostrare l’alterità di creazione e salvezza rispetto a natura e tecnica.


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3 commenti »

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