Brianzecum

aprile 27, 2018

I RIFUGIATI E LA CHIESA POST-IDEOLOGICA DI FRANCESCO

L’INVERSIONE DELL’ORIENTAMENTO DEI CATTOLICI IN POLITICA CON LO SFORZO DI AVVICINARSI AL VANGELO TROVA UN NODO FONDAMENTALE NELLA INEDITA QUESTIONE MIGRATORIA
di Massimo Faggioli, Il mulino, 17 settembre 2015 fonte:
https://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:2942

INVERSIONE. Uno dei paradossi del pontificato di Francesco è che il papa succeduto a Benedetto XVI ha invertito l’orientamento vaticano (ben visibile almeno fin dalla“Nota Dottrinale” della Congregazione per la Dottrina della Fede circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, del 2002) a eliminare l’idea della mediazione politica, affidata ai politici, quando si tratta di “applicare” il magistero sociale della Chiesa alla gestione della cosa pubblica. La Chiesa di Francesco non è antipolitica, né irrimediabilmente disincantata rispetto al divario tra l’utopia cristiana e la possibile distopia del mondo reale. Allo stesso tempo papa Francesco sta cercando di ridurre (non senza provocare tensioni nell’establishment ecclesiastico) lo spazio di mediazione delle incoerenze tra Vangelo e Chiesa. La caduta del velo delle mediazioni tra Chiesa e Vangelo è solo il punto di partenza dell’approccio di papa Francesco alla questione migratoria, con l’appello dell’Angelus del 6 settembre rivolto a parrocchie, conventi e case religiose in Europa ad accogliere una famiglia di profughi.

LA QUESTIONE MIGRATORIA – frutto di una serie di guerre che coinvolgono molti Paesi nella fascia tra Afghanistan e Libia, Yemen e Africa orientale, Africa centrale (per non parlare della crisi dei rifugiati nel Sudest asiatico tra Malesia, Thailandia, Indonesia e Australia) – è una di quelle su cui il cattolicesimo globale deve affrontare il nodo del rapporto tra il radicalismo del Vangelo di Gesù e la complessità delle situazioni politiche, istituzionali e demografiche della Chiesa in Paesi in cui i cristiani sono minoranza. È una sfida inedita sia per la Chiesa sia per l’Europa. La situazione attuale non ha nulla a che vedere con la dispendiosa apertura della Germania Ovest agli “Ossies” dopo il collasso del sistema comunista in Europa orientale. Per rimanere in Germania, i dodici milioni di tedeschi che sconvolsero la giovanissima e fragile repubblica di Bonn erano tedeschi etnici in fuga dal comunismo, testimoni dell’intricata tela di complicità della nazione tedesca (anche nel periodo post-bellico) con i crimini del nazismo in Europa orientale. L’afflusso di ebrei in Israele dopo il 1945 e più tardi, dopo la fine della diaspora nei Paesi arabi e il riemergere di una cultura antisemita, costituiva una riunificazione. Per fare un paragone contemporaneo, la questione migratoria europea ha poco a che fare con la questione negli Stati Uniti: in parte perché da sempre l’America ha saputo scegliere e filtrare gli immigrati sulla base delle necessità del sistema economico; in parte perché la questione dell’immigrazione getta una luce sugli Stati Uniti come “nazione-Chiesa” in cui il mercato è la vera religione nazionale, e le Chiese sono le più importanti agenzie non governative che in passato hanno sostenuto e integrato le ondate migratorie e oggi chiedono a gran voce (la Chiesa cattolica specialmente) una immigration reform. Per gli americani, tutti discendenti da immigrati, ogni immigrato che tenta è un americano in potenza.

POVERI NON SFRUTTABILI. Le migliaia che papa Francesco chiede all’Europa di accogliere non consentono invece neppure una fugace identificazione. Dal punto di vista ideologico le guerre in Africa e Medio Oriente sono difficilmente inquadrabili nelle categorie politiche occidentali – salvo risvegliare negli europei il senso di responsabilità per il fallimento di quegli Stati nazionali creati a tavolino tra la prima e la seconda guerra mondiale. Dal punto di vista etnico, questi richiedenti asilo sono gruppi diversi tra loro, talvolta nemici tra di loro. Dal punto di vista religioso e confessionale, i cattolici italiani non hanno in genere cognizione alcuna (e non è colpa della secolarizzazione) della prossimità teologica che li avvicina ai cristiani orientali, percepiti come una variante dell’Islam a causa della comune cultura araba. Questi sono i poveri della terra, che nessun calcolo politico o ideologico rende sfruttabili, ma anzi solo un costo. In questo senso le prese di distanza di alcuni vescovi italiani, e il silenzio di quasi tutti gli altri, dicono molto del disagio della Chiesa cattolica di fronte a papa Francesco. L’indicazione del successo o del fallimento della conversione della Chiesa di Francesco si misurerà nei mesi prossimi sulla capacità di accoglienza dello straniero in tutti i sensi – nazionale, ideologico, etnico, religioso – ed è probabilmente uno dei criteri evangelicamente più adeguati per misurare il carattere cristiano di una Chiesa e di una società. Il disagio dei cattolici europei e italiani di fronte all’ipotesi dell’accoglienza di decine di migliaia di africani e mediorientali in fuga dalla violenza dei conflitti armati o dalla povertà causata da essi non è data solo dalla crisi del “modello sociale europeo” e dalle limitate capacità di integrazione. È un disagio che deriva dalla difficoltà di inquadrare ideologicamente questo straniero, nel momento in cui la Chiesa cattolica non è più la colonna ideologica dell’Occidente, ma anzi è guidata da un papa chiaramente post-ideologico e anti-ideologico (in politica come in teologia) come Francesco.

 

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